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Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza italiana

 

 

 

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Repubblica Ribelle: La Storia dietro e dentro il Gioco

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Testi di Chiara Asti

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Ribelli locali
All'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 i giovani militari montanari fanno ritorno alle loro case sull'Appennino. I loro racconti di guerra contribuiscono a generare un diffuso sentimento antitedesco nella popolazione. Con i primi bandi militari della Repubblica Sociale Italiana è il fascismo repubblichino ad attirare le antipatie dei montanari e sono molti i giovani che decidono di non rispondere alla chiamata alle armi. Iniziano così a formarsi dei gruppi di renitenti che si svilupperanno nelle prime bande armate locali, spesso spinti all'azione dalla necessità di reagire ai rastrellamenti fascisti.

Seguendo questa dinamica si formano gruppi a Monchio (Leo Dignatici, Ermete Compagni, Giuseppe Rebuttini, Domenico Telleri), a Palagano (don Sante Bartolai, Nello Pini), a Rovolo e Romanoro (Alpino Righi); gruppi di giovani renitenti si formano anche nelle frazioni di Lago, Fontanaluccia, Polinago, Cervarolo (Luigi Niccioli), Massa di Toano (don Nino Monari), Tapignola (don Pasquino Borghi "Albertario"), Poiano (don Domenico Orlandini "Carlo"), Febbio. A Farneta di Montefiorino i giovani disertori si riuniscono intorno al cinquantenne Teofilo Fontana: contadino socialista, esprime un antifascismo più consapevole che trasmette anche al suo gruppo. Altri gruppi a livello locale si costituiscono a partire dal febbraio del 1944, come quello di Marcello Catellani a Gombola.

Ribelli da Sassuolo a Monchio
Nel novembre del 1943 sale in montagna anche un nucleo proveniente da Sassuolo. I sassolesi fanno parte del gruppo antifascista di Ottavio Tassi e sono comandati da Giovanni Rossi, ex ufficiale che ha combattuto in Jugoslavia. Con Rossi ci sono anche i fratelli Barbolini, Norma e Giuseppe, il tenente Ugo Stanzione, Virgilio Taglini e Antonio Braglia. Il gruppo dei sassolesi raggiunge la zona di Monte Santa Giulia e tra novembre e dicembre prende contatti con i gruppi locali.

Le prime azioni dei ribelli di Rossi consistono in prelievi di generi alimentari, che ridistribuiscono in parte tra la popolazione; ma il primo colpo davvero significativo viene messo a segno il 7 gennaio del '44, quando la formazione sassolese occupa la caserma della Gnr di Pavullo e preleva dalla Banca locale il fondo del Fascio, consistente in 270 mila lire.

Nel mese di febbraio la formazione dei sassolesi subisce però un duro colpo: da un lato l'infiltrazione nella banda di un criminale comune,Alberto Fini, il quale uccide un civile e poi ferisce a morte Stanzione che si era assunto il compito di eliminarlo; dall'altro il rifiuto di Rossi di accettare la presenza di un commissario politico nella formazione generano una serie di attriti sia all'interno dello stesso gruppo che con i referenti della Federazione comunista di Modena. Giovanni Rossi viene ucciso nel sonno a Montemolino (Frassinoro) da Zuilio Rossi, partigiano modenese sfollato a Ponte Dolo.

Parroci antifascisti e partigiani
L'antifascismo militante sull'Appennino non è molto diffuso; in questo contesto il ruolo dei parroci si rivela decisivo: in alcuni casi (come quello di don Mario Prandi) le loro prediche sono esplicite prese di posizione contro il fascismo che influenzano i parrocchiani e non sono pochi i parroci che dopo l'8 settembre consigliano ai giovani di non rispondere ai bandi della Rsi. La loro azione contribuisce a spostare anche i civili su posizioni di ostilità verso tedeschi e repubblichini e di appoggio ai partigiani. Emblematiche le figure di Don Sante Bartolai, Don Pasquino Borghi "Albertario" e Don Domenico Orlandini "Carlo", preti partigiani.

Donne e Resistenza: la conquista di un nuovo ruolo
Durante la Resistenza le donne partecipano attivamente sia come staffette che come partigiane combattenti. L'importanza della partecipazione delle donne alla Resistenza risiede, da un lato, nell'aiuto effettivo che esse hanno portato alla lotta di liberazione; dall'altro nel conquistarsi un ruolo attivo, pubblico e politico che nel ventennio fascista era loro negato in favore di quello privato di mogli e madri.

Queste giovani donne raggiungendo i partigiani in montagna e passando mesi lontano da casa in promiscuità con uomini che non facevano parte della loro famiglia rompono anche con l'idea di morale dell'epoca, aprendo la strada all'emancipazione femminile, che nel dopoguerra si tradurrà innanzitutto con la conquista del diritto al voto e con una maggiore partecipazione attiva nella vita sociale e politica del Paese.

Civili in guerra
Il ruolo attivo dei civili durante la Resistenza risiede principalmente nell'aiuto offerto agli ex prigionieri alleati e ai soldati sbandati e nel sostegno materiale dato ai partigiani: senza una rete di aiuti sul territorio la Resistenza non si sarebbe potuta sviluppare come ha fatto.

Un caso particolare di coinvolgimento dei civili sull'Appennino modenese si ha all'indomani dell'8 settembre quando i cadetti dell'Accademia militare di Modena sono alle Piane di Mocogno per un campo di addestramento; gli allievi ufficiali stanno tornando verso la città ma in zona Saltino di Prignano vengono raggiunti dalla notizia dell'armistizio, appresa la quale il Colonnello Giovanni Duca, che aveva il comando dei Battaglioni, decide di riportarsi in montagna. I cadetti raggiungono quindi Monchio e lì il Colonello scioglie i reparti; le armi, gli autocarri e i cavalli sono abbandonati e i militari si sbandano. Il materiale migliore viene recuperato dai tedeschi, mentre ciò che rimane viene raccolto e nascosto dai civili. I cadetti si sparpagliano per i paesi dell'Appennino recuperando abiti civili dai montanari per fare ritorno alle loro case, mentre i giovani che venivano dalle regioni più lontane vengono ospitati, clandestinamente, più o meno a lungo.

Rappresaglie e Stragi
Nel gennaio del 1944, su insistenza del commissario prefettizio del Comune, Francesco Bocchi, a Montefiorino viene istituito un presidio della Gnr. Contestualmente iniziano però anche le prime azioni ai danni dei militi della Gnr, che portano ad una serie di rappresaglie da parte dei fascisti. Vengono compiute le prime esecuzioni di ribelli, ma il movimento partigiano è tutt'altro che estirpato. Bocchi quindi invia una serie di lettere agli alleati tedeschi chiedendo un loro intervento a rinforzo.

Il 17 marzo del 1944 arrivano a Montefiorino alcuni reparti corazzati della divisione Herman Göring capitanati da Kurt Cristian von Loeben. All'alba del 18 marzo, dalla rocca di Montefiorino inizia il cannoneggiamento delle borgate di Monchio, Susano e Costrignano. Mentre gli abitanti cercano di lasciare le abitazioni, i tedeschi, accompagnati da militi fascisti, giungono sul posto e iniziano il rastrellamento e il saccheggio delle abitazioni civili. I nazifascisti radunando gli uomini e infine fucilando 136 civili.

Il 20 marzo un reparto della stessa divisione tedesca si sposta nel reggiano e, con la collaborazione della Gnr di Reggio Emilia, rastrella i borghi di Civago e di Cervarolo. Anche qui i nazifascisti compiono saccheggi e incendiano le abitazioni. Nel borgo di Civago vengono uccisi quattro uomini, mentre a Cervarolo nell'aia antistante la chiesa parrocchiale sono fucilate 24 persone.

Le due stragi di Monchio e Cervarolo avvengono in una fase della guerra in cui la linea del fronte è ancora lontana (la Linea Gustav è assestata a Cassino, sotto Roma) e sono le prime stragi di civili compiute con queste modalità sul fronte italiano, ovvero seguendo una precisa strategia terroristica volta a togliere ossigeno ai partigiani colpendo i civili, il cui sostegno è fondamentale per il movimento resistenziale. Va sottolineato anche il coinvolgimento attivo dei fascisti in queste due stragi: i militi della Gnr infatti accompagnano i nazisti indicando loro le case dei civili che collaborano con i partigiani.

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Resistenza matura
Tra Marzo e Aprile 1944 nella Valle del Panaro e attiva una formazione di partigiani guidata da Mario Ricci "Armando" la quale mette a segno alcune azioni significative. Il 15 Aprile '44 Armando è raggiunto da Osvaldo Poppi "Davide", inviato in montagna dalla Federazione comunista modenese, con l'obiettivo di fare di lui e della sua formazione il centro della riorganizzazione partigiana sull'Appennino modenese. Inizia il lavoro di agganciamento delle altre bande partigiane: tra le prime ad unirsi ad Armando ci sono quella di Nello Pini, originario di Palagano, e quella di Mario Nardi, un ufficiale di carriera piemontese che darà un importante apporto alla resistenza da un punto di vista militare. Altri gruppi decidono invece di mantenere una loro autonomia come nel caso del gruppo dei Barbolini o di Marcello.

Da inizio maggio i partigiani iniziano una serie di azioni coordinate contro i principali presidi della Gnr, compiono diversi attacchi mirati ai militi della RSI e ai tedeschi, sabotano ponti e vie di comunicazione.
Si intensificano i collegamenti con gli alleati e vengono effettuati i primi tentativi di aviolancio di materiali: il 22 maggio, dopo alcuni tentativi fallimentari, i partigiani recuperano il primo aviolancio nella zona di Capanna Tassoni sopra Ospitale, in Val d'Asta.

Nuova organizzazione
Alla fine di maggio 1944 alle Piane di Mocogno si svolge un importante incontro che vede protagonisti Davide per il Partito Comunista, Ermanno Gorrieri "Claudio" per i democratico-cristiani e Libero Villa per il Partito d'Azione: si forma un Comitato di Coordinamento, seppure permangono contrasti tra i comunisti e i cattolici sul tipo di lotta da condurre.

L'organizzazione del movimento partigiano subisce una profonda trasformazione quando il 9 giugno '44 nasce a Milano il Corpo dei Volontari della Libertà, CVL, alle dirette dipendenze del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Per quanto riguarda nello specifico l'Emilia-Romagna, sempre in giungo a Bologna viene costituito il Comando Unico Militare Emilia-Romagna, CUMER. Dalle bande sparse si passa così ad un coordinamento e ad un'organizzazione più precise che nel caso della zona dell'Appennino modenese e reggiano contribuiranno alla creazione della zona libera.

Partigiani in contrattacco
A partire dai primi giorni di giugno i partigiani presenti nella zona montana della Valle del Dolo del Dragone passeranno ovunque al contrattacco.
I presidi di Toano e Villa Minozzo vengono assediati costringendo i fascisti alla ritirata a Castenovo ne' Monti; Serramazzoni è occupata dai partigiani di Marcello per alcune ore; i partigiani di Barbolini, Fontana e Balin accerchiano Frassinoro, Montefiorino e Piandelagotti; il 17 giugno Sestola è occupata dai partigiani di Tommaso Ferrari, originario di Rocchetta, per circa 15 giorni.

L'ultimo presidio rimasto da espugnare è quello di Montefiorino. La notte tra il 17 e il 18 giugno 1944 i fascisti abbandonano la Rocca nottetempo. Davide, Balin e Ultimio Pagani, giovane partigiano locale, raggiungono la Rocca ormai abbandonata dai militi, ma temono che i fascisti l'abbiano minata. Davide, essendo il più anziano, decide di entrare per primo: i fascisti nella loro fuga hanno lasciato la Rocca indifesa e i partigiani possono simbolicamente prenderne il controllo.

Nasce la Zona libera di Montefiorino, un territorio di circa 600 km2 comprendente 7 comuni: Montefiorino di cui all'epoca Palagano era una frazione, Prignano Sulla Secchia, Polinago e Frassinoro per la parte modenese, Toano, Villa Minozzo e Ligonchio nel reggiano.

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Zona libera
Tra il 20 e 25 giugno, con Ordine del giorno numero 1, viene istituito il Corpo d'Armata Centro Emilia che riunisce le formazioni modenesi e reggiane. L'organigramma è il seguente: Comandante Armando (Partito Comunista), Commissario generale Didimo Ferrari "Eros" (Partito Comunista), Vice comandante Miro (Partito d'Azione), Vice commissario Davide (Partito Comunista), Capo di Stato maggiore Mario Nardi (Partito d'Azione).
Nonostante la costituzione del Corpo d'Armata, nella parte reggiana il Comando, con sede a Villa Minozzo alla guida di Miro e Eros, mantiene una sua autonomia.

Dal punto di vista dell'organizzazione militare il Corpo d'Armata comprende 4 Divisioni modenesi che si aggirano complessivamente sulle 4.000 unità; 4 Battaglioni di riserva (l'Anderlini a Vitriola, gli uomini di Fulmine a La Verna, i democratico-cristiani di Claudio a Gusciola e Frassinoro e il Battaglione "sovietico" a Montefiorino); 2 Divisioni reggiane per un totale di circa 2.000 uomini schierati nella zona tra Ligonchio e Carpineti.
La Zona libera di Montefiorino ha un eco anche in pianura richiamando molti giovani che salgono in montagna per unirsi alla Resistenza. Si tratta spesso di giovani che non hanno mai combattuto ai quali non si riesce a fornire un'arma non essendoci le risorse.

Entra con prepotenza in campo la questione degli effettivi, che diventa il principale terreno di scontro tra partigiani comunisti da una parte e democratico-cristiani dall'altra. Mentre i primi sono per un arruolamento generalizzato i secondi vorrebbero selezionare ed addestrare pochi uomini ma buoni. In questa fase prevale la linea comunista e sul territorio della Zona libera sono quindi presenti gruppi di partigiani non armati in attesa di addestramento.

Distretto partigiano
All'indomani della liberazione dei 7 comuni, Davide tiene una serie di comizi nei quali propone Teofilo Fontana come sindaco di Montefiorino e in generale incoraggia la popolazione ad eleggere dei rappresentati amministrativi.
Il Comando partigiano inoltra una serie di circolari ai parroci invitandoli a dare comunicazione ai parrocchiani di convocare delle riunioni dei capi famiglia in modo che ogni frazione possa eleggere un proprio rappresentante; in questo modo viene formata la Giunta popolare che il 26 giugno si insedia e che nomina Fontana sindaco di Montefiorino. La giunta è composta da 15 consiglieri oltre al sindaco. Anche negli altri capoluoghi facenti parte della Zona libera in questa fase si formano delle amministrazioni. A Toano la Giunta popolare viene eletta 17 luglio, sindaco è Remo Antonio Ghirardini; a Frassinoro il sindaco è scelto nella persona di Pietro Guidi un toscano sfollato e impiegato in comune come ragioniere; a Polinago il sindaco nominato è Domenico Antonio Roncaccioli; a Prignano Sulla Secchia il contadino Arturo Pellesi; Gino Coloretti è sindaco a Villa Minozzo e Olivio Raffaelli a Ligonchio. La nomina e l'insediamento di queste amministrazioni vengono fatti a nome del Comitato di liberazione nazionale, anche se si tratta di iniziative autonome del Comando partigiano.

Nel verbale della seduta di insediamento della giunta amministrativa di Montefiorino vengono espressi i principi democratici alla base delle Giunte popolari: si parla di una giunta composta di persone liberamente elette dai capifamiglia delle singole frazioni del comune; si afferma che l'amministrazione comunale deve rappresentare l'espressione della volontà del popolo; Teofilo Fontana invita i membri della giunta "ad agire con rettitudine, con passione, con lealtà [...] nell' interesse della popolazione e dell'ideale di libertà per il quale migliaia di partigiani hanno lottato, sofferto e versato copioso sangue e lunghi mesi".

L'esperienza delle giunte popolari ha un doppio valore: uno simbolico, in quanto per la prima volta dopo vent'anni di dittatura le popolazioni, seppure con modalità approssimative, venivano chiamate ad esprimere un voto democratico eleggendo i propri rappresentanti; ma il valore di questa esperienza è anche soprattutto a livello pratico: dopo tre anni di guerra e uno di guerra civile queste amministrazioni prendono finalmente provvedimenti a favore della popolazione montana. La principale preoccupazione delle amministrazioni è quella dell'approvvigionamento, unitamente ad una ripresa del regolare funzionamento della vita civile amministrativa andando incontro per quanto possibile alle principali esigenze della popolazione.

Arrivano i tedeschi
Mentre sull'Appennino modenese e reggiano i partigiani combattono per liberare il territorio dai presidi fascisti, l'esercito alleato supera il fronte di Cassino e libera Roma avanzando verso il nord Italia. La linea del fronte va assestandosi lungo la Linea Gotica, che si estende dal versante tirrenico lungo un fronte di oltre 300 chilometri sui rilievi appenninici fino al versante adriatico e che si trova alle spalle della zona libera di Montefiorino, la quale assume quindi un interesse particolare sia per gli Alleati che per i tedeschi.

Per i primi l'idea è quella di sfruttare questa zona controllata dai partigiani per attaccare il nemico alle spalle. Si progetta l'invio sul territorio di un Battaglione di Paracadutisti del Corpo Italiano di Liberazione sfruttando il campo di atterraggio che i partigiani hanno allestito a Frassinoro. Il primo passo dell'Operazione Nembo, dal nome del Battaglione che si vuole paracadutare, il 185° Reggimento Nembo, è l'invio di un ufficiale arrivato sul territorio il 26 luglio, mentre l'atterraggio dei paracadutisti è previsto per il 2 agosto.

Per i tedeschi la zona libera di Montefiorino costituisce invece una spina nel fianco da contrastare e a fine luglio attaccano la zona libera: dopo averne testato la tenuta con due incursioni a Piandelagotti, il 30 luglio sferrano un poderoso attacco circondando e attaccando i partigiani su tutte le direttive. Il Comando partigiano colto impreparato tenta una reazione ma quando si rende conto che resistere è inutile dà l'ordine di sganciamento. I partigiani quindi lasciano il territorio e si sparpagliano: qualcuno torna in pianura, qualcuno raggiunge le zone più isolate dell'Appennino dandosi alla macchia, qualcun altro attraversa il fronte. I tedeschi a questo punto riversano sulla popolazione la loro violenza incendiando i centri abitati dei comuni e compiendo razzie.

La zona libera di Montefiorino, dopo 45 giorni dalla sua nascita, è scompaginata.

Riorganizzazione partigiana: un nuovo assetto
Le conseguenze dell'attacco tedesco si fanno sentire su più livelli.
I democratico-cristiani, che sotto il comando di Armando e Davide avevano dovuto accettare un ruolo subalterno, imputano soprattutto a Davide la sconfitta subita e gli equilibri muteranno, anche in conseguenza alle decisioni prese dal Comando nell'autunno del '44.
I partigiani rimasti sul territorio sono in un numero molto inferiore rispetto ai 5.000 del periodo della Repubblica partigiana e si assestano intorno ai 2.000.

I vari Distaccamenti si riorganizzano, anche su direttiva del CUMER: la I Divisione viene divisa in due Brigate, la Bigi comandata da Balin e la Costrignano comandata da Filippo; l'ex III Divisione, decimata dallo sbandamento, viene riorganizzata in una Brigata comandata da Minghin (Domenico Telleri); l'ex II Divisione diventa la Brigata Roveda ed è comandata da Mario da Modena; si costituisce la Brigata Antonio Ferrari di cui fanno parte i democratico-cristiani, i partigiani della Anderlini, il gruppo di Mario Allegretti, comandati da Claudio; Fulmine mantiene il comando del Battaglione d'Assalto. Queste Brigate costituiscono la Divisione Modena, il cui Comando è ancora affidato ad Armando, Davide, Nardi e Villa. Il gruppo di Marcello Catellani assunse il nome di Formazione Scarabelli e viene in qualche modo assorbito all'interno della Divisione Modena pur mantenendosi sempre autonomo.

Nonostante tutto, il morale dei partigiani rimane alto: l'offensiva alleata di inizio agosto fa credere che la liberazione sia imminente.
Ma a metà settembre un rastrellamento tedesco colpisce la zona di Monte San Martino ed è soprattutto la Brigata Costrignano a dover reggerne il colpo in un duro combattimento a Palaveggio (Polinago). La Costrignano perde diversi uomini e il rastrellamento tedesco provoca il frazionamento delle varie formazioni partigiane. Nel frattempo dal CUMER è arrivato l'ordine assolutamente prematuro di spostarsi a Bologna per occupare la città. A fine settembre Armando si trova nella Valle del Panaro, dove si era ritirato dopo lo sbandamento; è in località Sassoguidano quando le sue formazioni sono attaccate dai tedeschi e si ritirano verso il confine bolognese; il 29 settembre raggiungono Lizzano in Belvedere, passando il fronte.

Il movimento partigiano ora sta attraversando una profonda crisi: l'Appennino è retrovia immediata del fronte e la presenza di reparti tedeschi sul territorio si fa massiccia; si avvicina l'inverno e i partigiani non sono equipaggiati adeguatamente; a questo si aggiunge l'incrinarsi dei rapporti con le popolazioni della montagna. A fine novembre il Comando decide di far passare il fronte a diverse formazioni per tenere sul territorio solo alcune centinaia di unità.

I principali gruppi rimasti sono ora quello di Balin, quello di Minghin, quello di Marcello e quello guidato da Claudio, per un totale di circa 500 partigiani. In questo contesto, tra novembre e dicembre si svolgono i convegni di Civago di Gova, nei quali viene messa fortemente in discussione la leadership di Davide. Gli aviolanci nel frattempo sono ripresi copiosi e gli alleati, forti di questo, intervengono nel dibattito perché si giunga ad una risoluzione della crisi: il Comando viene riformato con nuovi equilibri. Il Comandante è il cattolico Lino (Luigi Paganelli) così come democtatico-cristiani sono tutti gli altri membri del Comando ad eccezione di due.
Davide viene escluso dal Comando.

Seconda Repubblica di Montefiorino?
Il rastrellamento di fine luglio 1944 causa la definitiva divisione tra brigate reggiane e modenesi. Nella parte reggiana la riorganizzazione porta Augusto Berti "Monti", politicamente indipendente, alla guida del Comando Unico Zona Montana e già nel settembre del 1944 viene creato il Cln zona montana, per favorire il dibattito tra le varie forze politiche.

Il 4 dicembre del 1944, contestualmente alla formazione del nuovo Comando partigiano, anche nel modenese è costituito il Cln della montagna, formato dal presidente Giovanni Manfredi, democratico-cristiano, dal segretario Tandino Sbrillanci "Tom", del Partito comunista, e da "Sandoz" del Partito d'Azione. 

Per i cinque mesi da dicembre 1944 ad aprile 1945, con l'eccezione dei quindici giorni del rastrellamento di gennaio, il Cln della montagna mantiene il governo del territorio in relativa autonomia rispetto al Comando partigiano.

Riprendono a funzionare le Giunte popolari e per favorire la partecipazione vengono istituite delle Commissioni frazionali elettive, le quali si dedicano al settore assistenziale. I prelievi diretti sono aboliti e si chiede la collaborazione dei Comuni nell'approvvigionamento della Divisione Modena. Per garantire un maggiore disciplinamento delle formazioni partigiane, vengono inoltre creati il Tribunale militare unico e la Polizia Partigiana, con carattere sia civile che militare, con sede centrale a Farneta. L'opera del Cln montagna si esplicita anche nei settori dell'istruzione pubblica, promuovendo la riapertura dell'anno scolastico, e della sanità: i servizi dei due ospedali partigiani presenti sul territorio (a Fontanaluccia e a Civago) vengono estesi anche ai civili. Il Cln montagna svolge inoltre compiti di controllo sull'operato delle Amministrazioni civili.

Rastrellamento invernale, ripresa primaverile
Il 7 gennaio 1945 i tedeschi approfittano della stasi inverale e sferrano un attacco alla zona controllata dai partigiani. Ne consegue una serie di combattimenti che durano fino al 10 gennaio nei quali perdono la vita una ventina di partigiani. La Divisione Modena riesce però ad uscire indenne dal rastrellamento e già alla fine del mese ha nuovamente il controllo del territorio.

All'inizio della primavera riprende l'afflusso di reclute dalla pianura e verso la fine di marzo ci sono circa 3.000 partigiani, ora al comando di Severino Sabbatini "Wainer", del Partito comunista, mentre i cattolici costituiscono le Brigate Italia. L'offensiva partigiana cresce di intensità, contribuendo al logoramento delle truppe tedesche. In aprile i tedeschi sferrano gli ultimi attacchi: il 1 aprile 1945, giorno di Pasqua, nel reggiano presso il Monte della Castagna, dove le Fiamme Verdi perdono 6 uomini, ma l'intervento dei garibaldini e del Battaglione Alleato costringe i tedeschi alla ritirata; il 10 aprile nel modenese presso Monte Santa Giulia dove rimane ucciso il comandante della brigata, Mario Allegretti.

Il 10 aprile inizia l'offensiva Alleata, che però si concentra soprattutto nel bolognese. I partigiani dell'Appennino modenese e reggiano compiono alcune operazioni a scopo diversivo e a fine aprile scendono verso la pianura per la liberazione di Modena (22 aprile) e di Reggio Emilia (24 aprile).

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Memorie della zona libera
L'esperienza dell'estate 1944 è stata eretta a simbolo dalla memoria dei protagonisti sotto la formula di Repubblica di Montefiorino. Questa visione mitica viene messa in discussione negli anni Sessanta da Ermanno Gorrieri e dalla storiografia cattolica, generando una disputa con la storiografia comunista, rappresentata da Luciano Casali e Luigi Arbizzani, a proposito di una seconda Repubblica partigiana nella fase autunnale. Un riuscito tentativo di sintesi è rappresentato dal lavoro di Claudio Silingardi, che negli anni Novanta ha inserito l'esperienza di Montefiorino nel quadro generale della Resistenza modenese.

A livello locale la divisione fondamentale resta quella tra memoria antifascista e filofascista, che evidenzia la violenza partigiana nei confronti del nemico e della popolazione. A pesare sulle memorie locali e la loro divisione è anche la strage di Monchio: fra le memorie della strage e quella della Repubblica partigiana, si è creata una competizione che ha avuto un andamento alterno. Alla fase di esaltazione della seconda è seguita, in corrispondenza dell'imporsi del "paradigma vittimario", un recupero della prima, con spostamento dell'attenzione dalla lotta partigiana alla guerra ai civili, la cui memoria, seppure con alcune sfumature, può essere condivisa trasversalmente.

Nelle politiche della memoria si è assistito contestualmente ad una edulcorazione degli elementi più rivoluzionari: solo così le Amministrazioni, che dal 1951 al 1993 sono state a guida Dc, hanno potuto valorizzare questa esperienza senza urtare la sensibilità maggioritaria.

Un Museo sulla Repubblica Ribelle
L'idea di creare un Museo a Montefiorino nasce già negli anni Sessanta e trova lo stimolo necessario dal conferimento al Comune della medaglia d'oro al valor militare nel 1972. L'allestimento, a cura di Pietro Alberghi dell'Istituto storico di Modena e di Antonio Zambonelli per Istoreco, viene inaugurato nel 1979 e trova sede in alcune sale della Rocca medievale. Dal percorso museale, caratterizzato dall'esposizione di militaria, emerge la volontà di valorizzare l'esperienza dell'autogoverno nella sua continuità tra la prima e la seconda fase, superando le polemiche di parte che su questo tema erano state particolarmente aspre.

In occasione del Cinquantesimo della Repubblica partigiana si decide di rinnovare il Museo e nel 1994 vengono aggiunte due sale; il progetto scientifico è affidato a Claudio Silingardi, direttore dell'Istituto storico di Modena. Il nuovo percorso, inaugurato nel 1996, aggiunge l'aspetto sociale e umano della Resistenza e si concentra sul vissuto delle popolazioni montane, seguendo i nuovi approcci storiografici.

Nel 2012 il Comune di Montefiorino ha deciso di riallestire il Museo, rinnovandolo profondamente, sia dal punto di vista dell'allestimento, curato dalla Fuse*Interactive, che del percorso museale, che si deve a Fabio Emiliano Manfredi e a Mirco Carrattieri e Giuliano Albarani, allora presidenti degli Istituti storici. Il Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza Italiana, fondato sul linguaggio multimediale, è stato inaugurato nell'aprile del 2015.

     

 
 

 

 

 

 
 

 

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