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Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza italiana

 

 

 

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Testi di Chiara Asti

La storia siamo noi siamo noi padri e figli
siamo noi bella ciao che partiamo
la storia non ha nascondigli
la storia non passa la mano
(Francesco De Gregori)

La Storia è la scienza
degli uomini nel tempo
(Marc Bloch)


  1. Teofilo Fontana
  2. Norma Barbolini
  3. Ugo Stanzione
  4. Cesario Palandri, "Balin"
  5. Francesco Bocchi
  6. Osvaldo Poppi "Davide"
  7. Marcello Catellani
  8. Mario Ricci "Armando"
  9. Vivian Robert Johnston
  10. Ermanno Gorrieri "Claudio"
  11. Olimpio e Aldo Corti

Teofilo Fontana


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Nato a Riolunato nel 1892, Teofilo arriva in seguito nel comune di Montefiorino, stabilendosi nella frazione di Gusciola, dove lavora come agricoltore e ciabattino.

Di idee socialiste, pur contrario alla guerra, partecipa alla campagna di Libia e al primo conflitto mondiale. Dopo l'avvento del fascismo mantiene un atteggiamento di netta opposizione al regime.

In seguito all'8 settembre 1943, di fronte all'occupazione tedesca, Teofilo organizza tempestivamente un gruppo di ragazzi di Farneta e dintorni con lo scopo di difendere la popolazione dai rastrellamenti. La banda è protagonista dei primi scontri a fuoco della resistenza nella zona, il 23 dicembre a Rio di Porcinago e il 27 a Gusciola; poi si trasferisce nella zona di Villanova e Palareto.

Nel maggio 1944, nell'ambito della riorganizzazione delle formazioni modenesi in seguito alla scadenza dei bandi di arruolamento, Teofilo riceve l'incarico di collaborare con Norma Barbolini al comando del distaccamento sassolese. In questa veste partecipa attivamente all'attacco al presidio della Gnr di Montefiorino.

Il 21 giugno 1944, dopo la sfilata dei partigiani per le vie del paese liberato dalla presenza fascista, Osvaldo Poppi "Davide" lo candida a sindaco. La proposta viene accettata per acclamazione. Il 26 ha quindi luogo la nomina ufficiale da parte della Giunta popolare eletta dai cittadini.

L'Amministrazione Fontana si prodiga per la soluzione delle emergenze dovute alla guerra, ma si preoccupa anche di sviluppare interessanti sperimentazioni in campo fiscale e assistenziale. Anche dopo il rastrellamento tedesco di inizio agosto, Teofilo non lascia zona e da novembre la Giunta popolare riprende a funzionare a Gusciola, questa volta sotto il coordinamento del CLN zona montagna.

Sindaco di Montefiorino durante la zona libera dell'estate 1944, Teofilo sarà anche il primo cittadino nominato dal CLN dopo la liberazione e il primo sindaco eletto nel marzo 1946.

Uomo di provata ed integra onestà, risulta particolarmente apprezzato dalla popolazione locale, che ne conserva un ricordo di amministratore particolarmente attento ai bisogni della gente, soprattutto nei periodi di grande difficoltà.

Alla fine del suo mandato, Teofilo si ritira senza ulteriori velleità a vita privata e torna a lavorare la sua terra.
Muore nel 1962 e viene sepolto nel cimitero della frazione di Casola.

La piazza centrale di Montefiorino è oggi dedicata a lui.


[Torna su] Norma Barbolini


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Norma Barbolini, classe 1922, nata a Sassuolo dove vive nel quartiere operaio di Borgo Venezia, nel marzo del 1944 è comandante del distaccamento partigiano "Ugo Stanzione".

Prima della guerra, Norma lavora come operaia ceramista alla Marazzi di Sassuolo. Iscritta al Partito comunista italiano, nel 1941 partecipa ad uno sciopero che vede le donne protagoniste: un corteo femminile raggiunge l'ufficio annonario di Sassuolo per protestare contro il razionamento alimentare e per un aumento salariale. Norma, in questa occasione, parla alla piazza, esortando a proseguire lo sciopero, terminato il quale, assieme ad altre 10 operaie, viene licenziata.

In questi anni, la sua attività antifascista si concretizza nell'adesione al gruppo di Ottavio Tassi, collaborando alla nascita e all'organizzazione di una rete clandestina. Norma inoltre è tra coloro che, dopo l'armistizio del settembre 1943, recupera le armi e le munizioni abbandonate dai soldati sbandati; a novembre sale in montagna con il primo gruppo di giovani sassolesi che si danno alla macchia. In questa fase, col nome di battaglia "Milena", ricopre il ruolo di staffetta del gruppo partigiano comandato da Giovanni Rossi e poi, dopo la morte di Rossi, dal fratello di Norma, Giuseppe.

E' dopo il ferimento del fratello a Cerrè Sologno (Re) che a Norma viene affidato il comando del distaccamento "Ugo Stanzione", gruppo partigiano che opera nel territorio appenninico a cavallo delle province di Modena e Reggio. In particolare "Milena", assieme al futuro marito Emilio Niccioli, tiene i contatti con la Federazione comunista modenese. Nel giugno del 1944 partecipa attivamente alla Repubblica partigiana di Montefiorino.
Dopo il rastrellamento tedesco di fine luglio, le forze partigiane si disperdono e anche Norma, in novembre, passa il fronte col fratello.

Dopo la Liberazione torna a lavorare in fabbrica impegnandosi anche come dirigente del sindacato nazionale ceramista. Inoltre è assesore dell'amministrazione Forghieri a Sassuolo. Dopo essersi trasferita a Modena entra nell'UDI (Unione Donne Italiane) e nell'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia).
Per il suo ruolo nella Resistenza Norma riceve la medaglia d'argento al valor militare e viene nominata capitano dell'Esercito italiano.
Norma muore a Modena il 14 aprile 1993.


[Torna su] Ugo Stanzione


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Ugo Stanzione nasce a Salerno il 25 maggio 1921. Tenente dell'Accademia Militare di Modena, è distaccato a Sassuolo presso la Caserma dell'ISMA in via Radici in Piano.

Ugo si reca spesso nel quartiere operaio di Borgo Venezia, dove abita la sua fidanzata. Qui entra in contatto col nucleo storico di antifascisti sassolesi: Ottavio Tassi "Zero Zero", organizzatore del gruppo, Stefano Mussini, Giovanni Rossi, Giuseppe e Norma Barbolini, Antonio Braglia e altri. Il gruppo di Borgo Venezia è uno dei più attivi gruppi di antifascisti.
All'indomani dell'8 settembre 1943, Ugo convince Tassi che anche nel modenese è possibile la Resistenza armata, sostenendo che il settore sud-occidentale dell'Appennino sia quello più adatto alla guerriglia, perché attraversato da poche strade di più difficile accesso e meno vitali per i tedeschi.

Scrive di lui Ottavio Tassi: "Ugo Stanzione [...] si impose subito per la sua intelligenza e il suo sincero e ponderato desiderio di uscire dall'inerzia [...] soprattutto per la conoscenza pratica che dimostrava di avere per tutti i difficili problemi relativi alla formazione di unità combattenti".

La sua esperienza nell'esercito è fondamentale per organizzare l'attività combattente della banda: insegna ai suoi compagni a spostarsi da un nascondiglio all'altro, di notte e in piccoli gruppi, per dar l'impressione di essere in molti. Grazie alla sua conoscenza delle esigenze tattiche della guerriglia, il gruppo di Sassuolo, guidato da Giovanni Rossi, cresce rapidamente e senza subire perdite fino al marzo del 1944 (battaglia di Cerrè Sologno). Oltre a fornire una consulenza militare indispensabile, Ugo ha anche una visione concreta della realtà politica che attenderà i partigiani alla fine della lotta.

Il gruppo ha la sua base presso Monte Santa Giulia, a Monchio di Palagano, ma si sposta sul territorio fra le due province di Modena e Reggio. Siamo agli albori del movimento resistenziale, e il gruppo di Rossi accoglie nelle sue fila Alberto Fini, noto bandito locale che si rende responsabile di varie intemperanze.
Alla fine del gennaio '44, il gruppo di Rossi si trova a Riccovolto, nella Valle del Dragone; qui Fini uccide a sangue freddo e immotivatamente Stefani Battista, che in diverse occasioni aveva aiutato i partigiani. Si decide quindi la sua eliminazione.

Ugo, appena saputo del delitto, si reca dalla famiglia per esprimere il cordoglio dei partigiani e giurare che sarà fatta giustizia. Ai suoi compagni che lo vogliono Capo di Stato maggiore, risponde che accetterà solo se gli sarà concesso di eliminare personalmente Alberto Fini; gli viene concesso, ma manca il colpo e viene a sua volta ferito all'addome.

Ugo Stanzione muore per emorragia interna il 5 febbraio 1944, a 23 anni, in una casa del piccolo borgo di Case Cattalini, a Civago di Villa Minozzo.
Il distaccamento prende allora, in suo onore, il nome di "Ugo Stanzione".
Sulla casa in cui è morto è stata posta, nel 1984, una targa in suo ricordo.


[Torna su] Cesario Palandri, "Balin"


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Cesario Palandri nasce a Toano, paese dell'Appennino reggiano, nel 1924 in una famiglia di contadini che si trasferisce a Rubbiano dove trovano un terreno da coltivare.

Già nel 1943, all'indomani dell'8 settembre, Cesario si unisce al gruppo del socialista Teofilo Fontana. Si tratta di una delle prime formazioni partigiane locali, che ha la sua base nella zona di Farneta. Cesario assume il nome di Balin ed è da subito il braccio destro di Teofilo. In questa prima fase i giovani del gruppo di Farneta sono armati con qualche moschetto ottenuto grazie al parroco Alberto Zanaroli.

Nell'aprile del 1944 il gruppo di Balin si unisce a Davide (Osvaldo Poppi) e Armando (Mario Ricci), mantenendo la sua posizione sopra Farneta. Dalla fine di maggio Balin è comandante di un distaccamento che si rende protagonista degli attacchi al presidio di Toano la notte del 31 maggio e all'ammasso di Roteglia in giugno.

A metà giugno il distaccamento comandato da Balin, assieme al gruppo di Giuseppe Barbolini e ad altri gruppi locali, dà inizio all'assedio dei presidi di Frassinoro e Montefiorino.

Balin è con Davide e Ultimio Pagani (un altro giovane partigiano locale) la notte del 17 giugno del 1944, quando la Rocca di Montefiorino viene abbandonata dai fascisti. Il loro timore è che nell'abbandonarla, i fascisti l'abbiano minata. Davide decide di entrare per primo, essendo il più vecchio; fortunatamente i fascisti scappando nottetempo non avevano pensato di lasciare cariche esplosive e i partigiani possono simbolicamente prendere possesso della Rocca, dove stabiliranno la sede del Comando.

Durante la Repubblica partigiana Balin è membro della I Divisione "Ciro Menotti", comandandone uno dei reparti.
Alla fine di luglio arriva il rastrellamento tedesco, e i partigiani si sganciano dalla Zona libera. Molti partigiani tornano in pianura o passano il fronte (oltre la Linea Gotica). Balin è però tra coloro che rimangono ed è comandante della Brigata Bigi e quindi della Dolo.

Nel dopoguerra migra a Milano, dove lavora assieme ad uno dei fratelli, stabilendosi nel quartiere di Baggio.

Muore nel 2000 ed è sepolto nel cimitero di Rubbiano, dove è presente anche una targa dedicatagli dai suoi compagni partigiani.


[Torna su] Francesco Bocchi


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Francesco Bocchi sulla destra

Francesco Bocchi nasce a Modena nel 1904. Già squadrista, è reggente del Fascio di Montefiorino dall'ottobre del 1943 fino al 18 giugno del 1944. Bocchi inoltre è direttore didattico e Commissario prefettizio del Comune.

È anche su sua insistenza che nel gennaio del 1944, viene istituito a Montefiorino un presidio della Gnr. Bocchi ne ravvisa la necessita in seguito alle prime azioni dei ribelli. Così, coerentemente, già a inizio febbraio dalla Gnr di Montefiorino partono le prime azioni di rastrellamento nella zona di Savoniero e Monchio, dove le bande dei ribelli sono più attive e vengono compiute le prime esecuzioni di ribelli. Ma il movimento partigiano è tutt'altro che estirpato. Francesco Bocchi quindi invia una serie di lettere agli alleati tedeschi chiedendo un loro intervento a rinforzo. Il 17 marzo del 1944 arrivano a Montefiorino alcuni reparti corazzati della divisione Herman Göring (in quel momento acquartierata a Caselecchio di Reno) capitanati da Kurt Cristian von Loeben. All'alba del 18, dalla rocca di Montefiorino inizia il cannoneggiamento delle borgate di Monchio, Susano e Costrignano. Mentre gli abitanti cercano di lasciare le abitazioni, i tedeschi, accompagnati da militi fascisti, giungono sul posto e iniziano il rastrellamento e il saccheggio delle abitazioni civili. I nazifascisti radunando gli uomini e infine fucilando 130 civili.

Bocchi è l'unico dei capi fascisti a riuscire nella fuga, assieme alla pattuglia di testa, a metà giugno 1944 durante l'assedio dei partigiani. Raggiunge Sassuolo il 17 giugno e quindi torna a Modena dove assume il ruolo di vicefederale provinciale.

Responsabile di avere chiamato in rinforzo i tedeschi in Appennino per reprimere il ribellismo, rinforzo che si tradusse nelle stragi di Monchio e Cervarolo, Francesco Bocchi viene ucciso a Modena nel 1945, nell'anniversario della strage, in un attacco dei Gap che lo sorprende nei pressi della sua abitazione in Via Lana. L'intento dei gappisti è catturarlo per portarlo in montagna e lì giustiziarlo, ma quando Bocchi sembra riuscire nella fuga, viene raggiunto da una raffica di mitra.

Il 19 marzo, per rappresaglia, il Tribunale militare speciale condanna a morte cinque partigiani prelevati dalle carceri di Sant'Eufemia, fucilandoli e abbandonandone i cadaveri in varie parti della città.


[Torna su] Osvaldo Poppi "Davide"


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Osvaldo Poppi al centro

Osvaldo Poppi nasce a Reggio Emilia nel 1908, in una famiglia di proprietari terrieri. In gioventù abbraccia il fascismo entusiasticamente, diventando ufficiale della Milizia e nel 1932 Segretario del fascio di San Bartolomeo.

Si iscrive all'Università (Giurisprudenza) e su influenza di alcuno compagni di studio, mette in discussione la fede fascista, fino all'iscrizione al Partito Comunista, nel 1936. Nel 1939 è condannato a 20 anni per attività clandestina. Dopo tre anni e mezzo di detenzione a Civitavecchia, evade e si rifugia in Svizzera.

Il 3 agosto 1943 rientra clandestinamente a Reggio Emilia, dove dopo l'armistizio è designato dal Partito Comunista come responsabile militare per la zona montana. Nel 1944 viene inviato dal partito a Modena dove organizza i Gruppi di Azione Patriottica (Gap).

Salito in montagna con alcuni fedeli gappisti il 15 aprile del '44, nel giro di un mese riesce ad unire tutte le formazioni dell'Appennino modenese attorno alla Brigata di Mario Ricci "Armando", della quale "Davide" diviene commissario politico. Nell'autunno del 1944, di fronte ai contrasti con i cattolici e alle critiche del Triumvirato regionale (su "Davide" viene fatta ricadere la maggiore responsabilità della disfatta durante il rastrellamento di fine luglio) decide di attraversare le linee e si porta prima a Firenze e poi a Roma.

All'indomani della Liberazione è chiamato a Milano, quale membro del comitato economico del Clnai. Allo scioglimento di tale organismo, abbandona la politica attiva e torna nella sua Reggio dove muore nel 1980.


[Torna su] Marcello Catellani


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Nato a Parma nel 1917, è sottotenente dell'esercito regio in Francia, dove rimane amputato di un braccio. Dopo l'8 settembre si rifugia a Pompeano (Serramazzoni, paese natale della moglie. Nel gennaio 1944 forma un gruppo di partigiani con sede nella vicina Gombola, frazione del comune di Polinago; da aprile si trasferisce nel borgo di Casa Pace.

Il 10 maggio si scontra con i tedeschi a Ponte Cervaro, impedendo loro di compiere rappresaglia ai danni di Casa Pace. Il 10 giugno con la sua formazione occupa Serramazzoni.

Durante la Repubblica di Montefiorino comanda la IV Divisione e si rende protagonista dell'attacco a Ponte del Lupo. Il 3 agosto Gombola viene attaccata dai tedeschi. Nello stesso periodo, una parte dei suoi uomini passa con i comunisti, mentre lui rientra a Talbignano dove forma il Gruppo formazioni "Carlo Scarabelli".

A fine novembre Marcello passa il fronte e a Firenze prende contatto con l'Oss (Office of Strategic Services), che invia a Monchio la missione Welis. In dicembre rientra nella sua zona e diventa il principale interlocutore degli alleati, che compiono diversi aviolanci in suo favore a Santa Giulia.

Da gennaio comanda la Sap montagna, che resiste al rastrellamento tedesco ed anzi attacca a Ca' de Rossi. A fine gennaio si dimette in polemica con i vertici della brigata, ma a marzo rientra come vicecomandante nel nuovo comando di Farneta, a maggioranza comunista. Combatte a Lama Mocogno il 16-17 marzo.

La formazione di Marcello riesce a mantenersi sempre autonoma rispetto al Comando partigiano, e Catellani si distingue in particolare per il suo orientamento filomonarchico.

Dopo la guerra torna nella sua Parma, dove stringe amicizia con Giovannino Guareschi.
Muore a soli 52 anni nel 1969.


[Torna su] Mario Ricci "Armando"


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Mario Ricci sulla sinistra

Nato a Pavullo nel 1908 in una famiglia di mezzadri socialisti, Mario lavora come boscaiolo. Emigrato in Corsica nel 1930, allo scoppio della guerra civile in Spagna decide di arruolarsi nelle Brigate internazionali, rimanendo ferito a Madrid. Rientrato in Francia, viene internato a Vernet.

Nel 1941 torna in Italia, dove viene condannato a 5 anni di confino a Ventotene. Il 25 luglio 1943, alla notizia della destituzione del Duce, fugge dal campo e torna sui suoi monti. Richiamato in servizio di leva, l'8 settembre è in caserma a Maranello; si impossessa di un fucile e si dà alla macchia assumendo il nome di battaglia "Armando".

La formazione di partigiani guidata da Armando agisce inizialmente nella Valle del Panaro. Le azioni dell'aeroporto di Pavullo e della caserma di Fanano, nell'aprile 1944, e poi l'eroica battaglia del Monte Penna ne fanno il fulcro della resistenza modenese. Affiancato dal commissario Davide, diventa comandante del Battaglione "Ciro Menotti", poi della Brigata Garibaldi "Modena" e quindi del Corpo d'armata Centro Emilia, che conquista e difende Montefiorino.

Dopo la sconfitta subita a fine luglio quando arriva il rastrellamento tedesco e il conseguente sganciamento, Armando si ritira nell'alta Valle del Panaro, che con l'arretramento del fronte sulla Winter Line diventa terra di nessuno.

Il 29 settembre, dopo un tentativo fallito di scendere verso Bologna, attraversa il fronte con 1.500 uomini e raggiunge la V armata alleata. Nel bolognese, insieme alle formazioni locali, libera le zone di Porretta Terme, Lizzano in Belvedere e Gaggio Montano.

Nel dopoguerra Armando diventa un eroe dell'epica resistenziale, cantato come "il generale contadino".
Viene eletto sindaco di Pavullo, carica che ricopre fino al 1960.
Nel 1953 è decorato con la medaglia d'oro al valore militare.
È deputato nelle liste del Pci dal 1948 al 1958.

Muore nel 1989.


[Torna su] Vivian Robert Johnston


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Inglese di madre egiziana, Vivian Robert Johnston diventa Sottotenente dell'esercito nel 1941 e viene poi arruolato dal Soe (Special Operations Executive).

Nel marzo del 1944, ormai divenuto Tenente, viene paracadutato sull'Appenino Tosco Emiliano nell'ambito della missione "Envelope". Tra la fine di giugno e l'inizio di luglio prende contatto con i partigiani della Zona libera di Montefiorino; grazie alla sua azione gli aviolanci da parte degli Alleati aumentano notevolmente.

Dopo il rastrellamento di fine luglio 1944 viene promosso Capitano e si sposta stabilmente nel reggiano (facendo base a Ligonchio) dove opera la formazione di Carlo (don Domenico Orlandini), suo referente di fiducia. A dicembre dello stesso anno, assieme al Maggiore Wilcockson, convoca gli incontri di Gova e di Civago, dove interviene nella crisi in corso tra le formazioni partigiane, sostenendo le posizioni dei democratico-cristiani; viene così stabilito il nuovo assetto del Comando partigiano.

Nel gennaio del 1945 Johnston viene trasferito a Firenze e poi in marzo in Liguria, dove,
nell'ambito della missione "Indelible", collabora con la II Brigata Garibaldi nel savonese.

Insignito della Victoria Cross, termina il suo servizio nel 1947.
Membro della riserva fino al 1951, vive in Egitto e nel Sussex.

Muore nel 2005.


[Torna su] Ermanno Gorrieri "Claudio"


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Carta di identità falsa utilizzata da Gorrieri nel periodo della clandestinità

Originario di Magreta, dove nasce nel 1920, il giovane Ermanno Gorrieri si trasferisce a Modena per gli studi universitari. Nell'agosto 1942 è chiamato alle armi negli Alpini. Dopo l'8 settembre del 1943 si trova in licenza e organizza, con l'amico Luigi Paganelli, un recupero di armi a Formigine e Fiorano. E' quindi nominato rappresentante della Democrazia Cristiana nel Comitato militare, organo del Cln modenese.

Organizza gruppi di giovani cattolici, che diffondono stampa clandestina, svolgono piccole attività di sabotaggio e collaborano con Don Elio Monari nel salvataggio di militari alleati e di ebrei. Sfuggito alla cattura da parte della polizia fascista, nel maggio del '44, con il nome di battaglia "Claudio", guida in montagna il primo nucleo partigiano democristiano, che partecipa a varie operazioni, prima e dopo la conquista di Montefiorino.

In agosto viene nominato comandante della 27a Brigata Garibaldi "Antonio Ferrari", di composizione mista. In novembre, dopo il passaggio oltre il fronte di gran parte dei partigiani, partecipa al Convegno di Civago, in cui i comandanti rimasti concordano il nuovo assetto della Divisione Modena Montagna, favorevole ai cattolici. In questa fase Claudio scende in pianura, dove viene catturato a Formigine, riuscendo però a fuggire.

Dalla pianura promuove e coordina l'organizzazione delle formazioni armate democristiane, le quali, riunite all'inizio di marzo del 1945 sotto il nome di Brigata "Italia" Pianura, partecipano ai combattimenti del 21-23 aprile che portano alla Liberazione di Modena.

Nel dopoguerra è segretario provinciale (1945-1946) e regionale (1966-71) della Democrazia Cristiana; segretario della Cisl (1950-1958); membro del consiglio nazionale delle Acli (1948-1950), presidente dell'Unione Provinciale delle Cooperative (1951-1956 e poi 1959-1969). Viene eletto in Parlamento (1958-1963) e nominato Ministro del lavoro (1987).

Ermanno Gorrieri si distingue anche come attento studioso dei fenomeni sociali, a partire dal fondamentale studio sulla giungla retributiva (1972). Il suo libro La Repubblica di Montefiorino (1966), non privo di risvolti polemici verso l'ideologizzazione della memoria resistenziale, rappresenta un passo fondamentale per il rinnovamento della storiografia.

Muore a Modena nel 2004.


[Torna su] Olimpio e Aldo Corti


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Olimpio Corti con la moglie Pia Piacentini

Olimpio Corti nasce a Casola, frazione di Montefiorino, nel 1981. Emigra in Francia all'età di 15 anni per fare il minatore a Gardanne, in Provenza. Al lavoro in miniera affianca l'apprendistato fotografico. Dopo circa due anni rientra in Italia e inizia l'attività di fotografo ambulante nel territorio tra i paesi di Montefiorino, Palagano, Piandelagotti, Frassinoro, Toano e Villa Minozzo.
Olimpio è il primo fotografo ad operare sistematicamente su questo territorio.

Nel 1912 partecipa alla guerra coloniale in Libia, dove rimane per circa dieci anni fino alla fine della Prima guerra mondiale.

All'inizio degli anni Venti Olimpio sposa Pia Piacentini e riesce ad aprire una bottega in centro a Montefiorino diventando il fotografo ufficiale del paese. Accanto all'attività di fotografo avvia anche quella di barbiere. Olimpio è uno dei componenti del direttorio del Fascio locale (come attesta un documento conservato presso l'archivio parrocchiale di Montefiorino).

Ad aiutarlo nella bottega il figlio Aldo che nel 1942, appena ventenne, parte per la campagna di Russia, un'esperienza che lo segnerà profondamente. Rientrato in Italia nella primavera del 1943, si trova presso l'Ospedale militare di Bologna quando l'8 settembre lo raggiunge la notizia dell'armistizio, e riesce così ad evitare la deportazione in Germania. Aldo quindi può fare ritorno a Montefiorino, dove riprende ad affiancare il padre Olimpio nella sua attività.

Quando alla fine del '43 anche a Montefiorino irrompe la guerra civile, Olimpio e Aldo scelgono di non schierarsi apertamente né con gli uni né con gli altri, offrendo la loro opera di fotografi sia ai militi della Gnr che ai partigiani. Nel periodo che va dal '43 al '44 Aldo realizza diversi scatti che ritraggono i repubblichini, mentre a partire dalla primavera del '44, fino all'inverno del '45, ritrae con altrettanta familiarità i partigiani. Questo nonostante il 30 aprile del '44 suo padre Olimpio venga ucciso dai partigiani che lo accusano di fare la spia ai fascisti.

Nel dopoguerra l'attività di Aldo si ridimensiona per motivi di salute, ma sono degni di nota i lavori fatti per l'editore modenese di cartoline illustrate Pini e l'opera di riproduzione su pellicola dei lavori del padre Olimpio risalenti agli anni Venti e Trenta.

La famiglia Corti ha donato il Fondo fotografico Corti al Comune di Montefiorino; il materiale originale è conservato e consultabile presso la Fondazione Fotografica di Modena.

     

 
 

 

 

 

 
 

 

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